Padrone IX – Disciplina

Padrone IX – Disciplina
Quando si svegliò la luce che entrava dalla finestra le indicava che il giorno era già iniziato da molto. Senza neanche guardare, tirò fuori dalle coperte il braccio e prese a colpo sicuro il collare sul comodino, lo portò al collo, era freddo contro la pelle ma lo indossò senza esitazione. Rimase per qualche istante ferma nel letto, aspettando che il collare raggiungesse la sua temperatura, non aveva voglia di uscire da quel posto caldo ed avvolgente. Il solo pensiero che quelli fossero i primi segni della pigrizia la fecero s**ttare seduta gettando le coperte sul fondo del letto. Con calma si alzò, il pavimento era ghiacciato, lei con indosso solo la vestaglia di Padrone era intirizzita ma sembrava non dargli importanza.
Per andare in cucina passò dal salotto, la luce che entrava dalla grande finestra era troppo accecante per lei che si era appena svegliata ma poteva percorrere quel tratto ad occhi chiusi, distese una mano e quando sentì di essere arrivata allo schienale della poltrona in pelle lo accarezzò dirigendosi verso la cucina.
L’odore della pelle era intenso, non era diminuito minimamente da quando settimane prima, il giorno dopo essere andata a cena con Padrone lui gliel’aveva fatta consegnare da due fattorini, persino di domenica… Se li ritrovò fuori dalla porta a metà mattinata con la poltrona imballata ed un bigliettino, lei che non sapeva nulla, visto il bigliettino cominciò a capire, quando gli chiesero dove poggiarla le bastò leggere ad alta voce cosa c’era scritto nel bigliettino che intanto aveva aperto

Ma quell’ultima parola, la firma, era solo per lei e la tenne segreta.
Mentre ricordava tutto questo aveva riscaldato una tazza di latte ed era tornata in salotto. Si inginocchiò sul grosso cuscino ai piedi della poltrona ed iniziò a sorseggiare la sua colazione. Momo desideroso di attenzioni e di coccole le si sdraiò di fronte, ultimamente lo aveva trascurato, aveva troppe cose per la testa, anche ora del resto lo accarezzava distrattamente.
Da quella posizione poteva vedere sopra il tavolo da caffè davanti al divano dove due giorni prima Padrone le aveva lasciato una carta di credito, sapeva che non era un caso dato che qualche ora prima era scaduto il suo contratto di lavoro e non le era stato rinnovato, ma lei non faceva tutto quello per avere dei soldi in cambio da Lui e non si era nemmeno avvicinata a quella carta.

Come ogni sera ormai, dopo una cena veloce rassettava tutto, si vestiva elegante, lasciava il portoncino socchiuso ed aspettava inginocchiata l’arrivo di Padrone. Da quando avevano cominciato ad incontrarsi solo poche volte l’attesa era stata vana.
Passi cadenzati a quell’ora potevano essere soltanto di una persona, ma Rossana rimaneva col fiato sospeso fino a quando la porta non si apriva a rivelarle il suo ospite e solo in quel momento il suo cuore riprendeva a battere regolare. Lui entrava, chiudeva la porta e solo dopo dava segno di averla vista, le si avvicinava e le accarezzava la testa ed il viso, le offriva la mano come appoggio per rialzarsi e la conduceva in salotto. Una routine consolidata ma che la faceva sentire bene, i gesti anche se ripetuti non erano vuoti e sentiva che le attenzioni che riceveva erano piene di significato.
In salotto si fermavano vicino la finestra, ad un passo dalla poltrona e lui cominciava a spogliarla, non c’era bisogno di usare parole ed il fruscio dei vestiti che venivano tolti era l’unico suono udibile. Padrone la sfiorava appena e lei trasaliva ogni volta che le loro pelli entravano in contatto come implorando per averne di più ed i suoi occhi languidi cercavano di penetrare quelli fermi di lui senza però fare breccia.
Spesso le lasciava indosso soltanto il collare ma quella sera aveva un ennesimo regalo. Aprì una s**tola senza fregi e ne tirò fuori un vestito in cotone color panna. Come in un ballo che conoscevano entrambi i loro movimenti erano coordinati e lei alzò le braccia senza ordine, lui le infilò il vestito e mentre lei abbassava le braccia lui lo sistemava calzandolo a dovere. La gonna larga a pieghe che partiva da metà coscia saliva comodamente verso i fianchi dove la stoffa si faceva più aderente diventando praticamente un bustino, i fitti bottoncini ricoperti della stessa stoffa cominciavano poco sopra l’ombelico e lui, uno dopo l’altro, li chiuse con cura e senza fretta. Arrivato sotto la linea dei seni con l’addome ormai fasciato alzò lo sguardo per guardarla negli occhi, lei era affascinata da quello sguardo, dai modi così sicuri e fermi, si sentiva intimorita ma protetta dalla sola sua presenza, a volte anche solo sapere che fosse reale. Lui senza dar nessun avviso le infilò una mano nel vestito per alzarle ed accomodarle meglio uno dei grossi seni nel vestito, lei colta alla sprovvista, sentendo quella mano calda afferrarle la carne e farle strofinare il capezzolo contro la stoffa, non poté far altro che lasciar andare un gemito ed abbassare il viso quasi imbarazzata. Lui senza scomporsi ripeté l’operazione anche con l’altro seno, lei cercava di calmarsi respirando affannosamente ma percepiva ogni respiro più caldo del precedente, i suoi capezzoli erano turgidi e premevano forte contro la stoffa che li stringevano, lui senza dargli peso continuò ad abbottonare il vestito fino ad arrivare alla scollatura tonda.
Prendendola per mano la indirizzò al cuscino vicino la poltrona, lei si inginocchiò prontamente e lui si accomodò al suo posto, sulla poltrona comoda in pelle, come fosse un trono. Rossana poggiò la testa sulla gamba di Padrone, desiderava quel contatto per tutto il giorno, quel cuscino, quella poltrona erano diventati il suo posto preferito, di tutto il mondo. Era lì dove riusciva a percepire il profumo di lui anche quando era sola, era lì che le si consolidava dentro questa esigenza profonda di averlo vicino. Lui intanto le carezzava e le disciplinava i lunghi capelli con le dita. Il mondo al di là di quella finestra sarebbe anche potuto sparire, non le importava, il bordo del solo mondo che le importava era fatto delle loro pelli.
Era felice, spensierata ma non del tutto appagata. Da quando tutto era cominciato, da quando aveva percepito realmente la personalità di Padrone, aveva avuto voglia di congiungersi a lui. Quando la spogliò la notte del loro appuntamento era pronta ad accoglierlo dentro di sé, di fondere i loro calori e da allora, tutte le sere che si presentava da lei, che puntualmente la spogliava completamente lei era sicura di mostrare anche la sua anima a nudo e di rivelare tutta la sua voglia di lui, di essere sua, posseduta in ogni suo lembo di carne. Ma lui non dava segno di nulla e lei era un po’ intimorita nel fare la prima mossa, ma lui non si faceva problemi a farle regali costosi, a spogliarla, a lasciarle una carta di credito, senza dire nulla, dando per scontato che lei non si sarebbe opposta, che accetti tutto, che non chieda altro. Ma lei non dava peso a tutto quello, le cose erano solo cose e non l’avevano mai attratta, quello che voleva lei, dal più profondo era il contatto fisico con lui, prolungato, fantasticandolo infinito, ma lei stasera se lo sarebbe preso da sola.
Ruotando la testa per guardare lui negli occhi portò la mano sul ginocchio di lui e velocemente la fece scivolare sui pantaloni per farla arrivare al cavallo. Un istante in più e sarebbe arrivata, ma lui le afferrò con forza il polso e si alzò di s**tto sbilanciandola e spingendola verso terra. Rossana stava per alzarsi ma non riuscì neanche a poggiarsi con le mani a terra che Padrone le afferrò il collo premendo il collare contro la pelle e tenendola bloccata contro il pavimento.

La mano di lui non la spingeva a terra con forza ma la teneva bloccata senza possibilità di movimento, era spiazzata, da quando lo aveva incontrato mai una volta aveva pensato che sarebbe potuta finire in quel modo, era paralizzata, fisicamente da quell’uomo che con una sola mano riusciva a trattenerla e mentalmente, non riuscendo a capire cosa sarebbe successo. E poi la voce di lui, così profonda, così spaventosa. Poi all’improvviso la lasciò mettendosi in piedi, lei non aveva il coraggio di muoversi e neanche di girare la testa, sentì soltanto che Padrone alzava di peso la grande poltrona in pelle e la spostava, quando tornò da lei, accovacciandosi vicino le picchiettò con il dorso della mano un fianco

un attimo di indecisione, non capiva come fare, aveva la guancia e la spalla sinistra contro il pavimento freddo e le ginocchia sotto di sé, se provava ad eseguire l’ordine sentiva un dolore acuto alla schiena. Padrone le picchiettò di nuovo sul fianco, lei lentamente, mantenendo la testa a terra, cominciò ad alzare il sedere e contemporaneamente a spostare indietro le ginocchia, il dolore per quella posizione era sopportabile e Padrone la lasciava muovere in quel modo.

Si fermò.

Eseguì senza esitazione. Sentiva il peso gravare tutto sulla spalla che cominciava a farle male, respirò profondamente per controllare il dolore ed il desiderio di muoversi.

La sua voce era tornata calma e controllata, voleva guardarlo in viso per capire se tutto era tornato apposto ma da quella posizione riusciva solo a vedergli le scarpe. Le girò attorno, andando nel suo lato cieco, sentì il risvolto della gonna caderle sulla schiena e l’aria che lambiva il suo sedere nudo

Era una domanda… doveva rispondere… aveva la testa vuota. Mugugnò un no ma in quello stesso istante capì, chiuse gli occhi e… Un colpo, forte quasi da farla stendere a terra. Strinse i denti per non urlare dal dolore. Sentiva la natica sinistra pulsare ed un calore che cominciava a spandersi. Quando fu sicura che non avrebbe urlato fece uscire il fiato, era finito, riusciva a controllarsi, aprì gli occhi, la visione era distorta dalle lacrime. Un altro colpo, forte come il primo, ma sull’altra natica. Bloccò l’urlo appena in tempo, sentiva il calore avvolgerla da entrambi i lati, riaprì gli occhi e sentì le lacrime calde bagnarle il viso, riprese fiato. Un altro colpo a sinistra, esattamente dove era stata colpita prima, il dolore era molto più intenso e pungente. Non riuscì neanche a respirare che arrivò un nuovo colpo a destra ma stavolta non trattenne l’urlo.
Aveva la mente annebbiata, non sapeva neanche se l’urlo era davvero uscito dalla sua bocca o se i vicini avessero sentito, percepiva soltanto che era passato abbastanza tempo e che un altro colpo stava per arrivare, provò a contrarre il sedere ma da quella posizione non riuscì, sentì Padrone muoversi, serrò labbra e palpebre. Invece della sculacciata sentì l’avvolgente mano di Padrone poggiarsi con delicatezza sulla pelle sensibile del suo sedere ed accarezzarla. La differenza tra ciò che si aspettava e ciò che ricevette era così tanta che scoppiò in un pianto liberatorio, lui continuò ad accarezzarla e consolarla col suo tocco delicato, lenendo il dolore e calmando il suo animo.
Quando smise di singhiozzare un nuovo colpo le mozzò il fiato. Aveva sperato che fosse tutto finito ed invece Padrone cominciò di nuovo con colpi secchi e cadenzati, alternati sui due lati, lei non si preoccupava più di trattenersi, sapeva di aver sbagliato e che quella era la sua punizione e l’accettò tutta affidandosi a Padrone.
Quando finalmente terminò era esausta, la gola le faceva male, sentiva le gambe deboli e cadde col fianco sul cuscino. Dopo tanto ritornò a vedere il viso di Padrone, era come se lo vedeva dopo settimane, tanto le era mancato, gli sorrise, lui aveva sempre lo sguardo serio ma si chinò su di lei

porgendole una mano. Rossana annuì anche se non ne era sicura ed infatti dovette affidarsi più delle altre volte al suo sostegno. Una volta in piedi sentì le gambe intorpidite ed il sedere gonfio e pulsante, non sentiva di potersi fidare del suo equilibrio. Padrone tirò fuori dalla tasca un fazzoletto in stoffa e con cura le asciugò il viso dalle lacrime che lo avevano ricoperto, lei sorrideva, l’ultima volta che era successa una cosa del genere era da bambina con suo padre.
Padrone la prese per mano e la portò in camera da letto, la spogliò di nuovo ma stavolta le tolse anche il collare, le fece indossare la vestaglia in seta e la mise a letto, la coprì e nell’uscire spense la luce. Sta andando via, pensò tristemente Rossana, più della punizione fisica era il fatto che la sua serata con Padrone era già finita che le faceva più male. Sentì l’uscio chiudersi, era andato, lasciandola sola, sveglia, al buio a riflettere su ciò che aveva fatto.

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